Ieri 21 marzo 2016, di ritorno da un giro in MTB, ho scorto un casolare che vedo da anni transitando per quella strada. Sono passato di lì in decine di occasioni, ma stavolta la curiosità e l’assenza di divieti di accesso mi ha portato a fare dietrofront e a dare un’occhiata più da vicino, pensando già di trovare qualche rudere da fotografare. Conoscevo già la destinazione d’uso di quel luogo, e quindi il pesante carico emotivo che si porta dietro. Attraversare quel luogo spettrale da solo anche se in pieno giorno mi ha messo una certa ansia. Allo stesso tempo ho avuto una forte spinta a tornarci di notte per esplorare quegli ambienti. Avevo già in mente la tecnica da usare. La fotografia Light Painting. Mentre girovagavo fra gli edifici ho incontrato due caprioli, che sorpresi quanto me mi han guardato un paio di secondi forse chiedendosi che cavolo ci facessi li, prima di fuggire a gambe levate. Per il momento non posso dire dove si trova perché ho in mente di tornarci per altre foto, e non vorrei trovare un cancello chiuso la prossima volta. Senza pensarci troppo la sera stessa sono tornato (per la gioia di mia moglie) con tutto l’occorrente per sperimentare i miei giochi di luci. La leggera velatura del pomeriggio si è accentuata ed ha portato nubi che mi scaricano la solita pioggerella in testa mentre scendo dalla macchina e scarico l’attrezzatura. Ci ho messo un po’ ad ambientarmi, ogni tanto mi sono soffermato come un cane da punta ad ascoltare rumori provenienti da ogni parte. Passati i primi minuti a convincermi che c’ero solo io e qualche fagiano, mi sono concentrato a preparare l’occorrente e decidere l’inquadratura. Gli spunti sono molti. Qui si può far di tutto con le luci artificiali. Scelgo l’alto capannone che mi sovrasta, il tetto è a circa 8 metri. Per riprenderne una porzione più ampia possibile opto per il Samyang 12 mm Fish Eye. Poco adatto per gli edifici, per via della distorsione prospettica, ma rimediabile in post produzione con Adobe Lightroom e il suo Lens Profile, che contiene di default le correzioni necessarie per ogni obiettivo. Un addrizza muri automatico. Piazzo la Canon 6D su cavalletto col radiocomando collegato, col selettore della Canon in posa B, che permette di tenere aperto l’otturatore a piacimento. Essendoci la luna a tre quarti molto luminosa, anche se parzialmente coperta dalle nubi, c’era luce a sufficienza per fare un paio di scatti a 25000 iso, per capire meglio quale inquadratura scegliere. Una volta decisa metto un punto di riferimento a terra sul quale metto a fuoco manualmente, appoggiandoci una torcia accesa puntata in camera. Con Live View, (comoda modalità della camera che permette di vedere attraverso il dorso cosa sta inquadrando l’obiettivo senza guardare nel mirino) ingrandisco l’immagine della luce della torcia e focalizzo. Decido di tenere il diaframma su f/8.0 e gli iso a 100. Prima di “sparare” la fireball devo controllare che non ci sia materiale infiammabile nel raggio di azione dei getti incandescenti della sfera. Non vorrei trovarmi a fotografare un incendio… Poi devo capire come e quanto illuminare la struttura verticale ed il terreno. Faccio una serie di scatti di prova, forse una decina, girando con la torcia ed i faretti led a batteria puntate sul soffitto e le colonne, spennellandole letteralmente di luce con vari tempi, fino a trovare l’esposizione giusta di circa 160 secondi. Preparo il frustino da cucina di acciaio inox mettendoci dentro, fra le maglie, un pugno di lana d’acciaio extra fine, del tipo che usano i restauratori per levigare i mobili. Lego un cordino al frustino in modo che con la mano alzata all’altezza della gola, il frustino sia a 10 cm dal terreno. Setto la camera mettendola in modalità esposizione multipla additiva su singolo fotogramma, dandomi modo di fare 9 scatti sullo stesso fotogramma. La fotocamera sommerà gli scatti una volta terminati dandomi l’immagine finale. Inizio col primo scatto dei 9 previsti muovendomi e illuminando per 120 secondi sotto al capannone, cercando di non tralasciare angoli che poi risulterebbero bui nella foto. Chiudo l’otturatore col telecomando praticissimo e direi fondamentale in questi casi. Col secondo scatto illumino per una ventina di secondi il pavimento tenendo la torcia led radente, per donargli una texture più marcata. Concluso lo scatto torno sul mio punto di riferimento dove è puntata la camera. Mi preparo a scattare per la sfera. Controllo la lunghezza della corda facendo un nodo nel punto in cui la tengo in mano, per aumentare la presa ed evitare che la forza centrifuga me la faccia scivolare. Se la corda scivola dalle mani si allunga il raggio e la sfera non viene omogenea. Tiro fuori l’accendino e innesco la lana d’acciaio alla base del frustino, dalla parte del manico. Appena comincia ad ardere (si comporta come una brace senza sviluppare fiamma) premo il telecomando aprendo l’otturatore della Canon. Rapidamente inizio le rotazioni del frustino cercando di rimanere sopra al punto di riferimento piazzato a terra, mentre a piccoli passi, a mia volta, ci giro intorno. La forza centrifuga provoca il distacco delle parti di lana d’acciaio che stanno bruciando, lanciando in ogni direzione a qualche metro di distanza i lapilli incandescenti. Continuo a girare intorno al punto di riferimento roteando il frustino fino ad esaurimento della lana e dei getti. Chiudo l’otturatore col telecomando. Sbatto a terra il frustino per liberarlo dalle scorie arroventate rimaste. Se si raffreddano non vengono più via facilmente. Controllo in camera gli scatti rimasti, sette. Torno sul punto di riferimento. Prendo la torcia led e regolo il fascio concentrandolo al massimo, agendo sullo zoom di cui è dotata. Dirigo il raggio direttamente in camera tenendolo all’altezza corrispondente al punto in cui tenevo la mano per far roteare il frustino, circa sulla gola. Questo punto corrisponde al centro della sfera registrata nello scatto precedente. Apro l’otturatore sempre col fidato telecomando per un secondo circa, creando un punto luce all’interno della fireball. Decido che in base alle prove fatte precedentemente il resto dell’ambiente è stato illuminato a sufficienza. Concludo rapidamente gli scatti rimanenti col tappo sull’obiettivo. Il solito fagiano conferma il tutto col suo verso che rimbomba nelle pareti. Una piccola parentesi per l’abbigliamento: non si va a fare fireball con vestiti chiari, a meno che non si voglia comparire nella foto come fantasmini evanescenti. Per non lasciare tracce di se sul sensore della fotocamera, meglio indossare pantaloni e giacca scuri, scarpe comprese. Consigliato un cappellino per evitare che le scintille riscaldino troppo le meningi annidandosi fra i capelli. Come si vede in questo caso non c’è traccia di me nel fotogramma, perché muovendomi durante la ripresa e vestito come l’uomo nero non do il tempo sufficiente al sensore di registrarmi. Se avessi creato un anello invece che una sfera, in quel caso sarei visibile al centro, essendo rimasto fermo sul posto.
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Light paintings can be collaborative, with one person “modifying” somebody else.